Qua tengo i miei appunti brevi.
Parole fuggenti tenute strette dal guinzaglio del tempismo.

Un edificio inabitato non è edificio. Il nome è obsoleto. Piuttosto esso è abitante del luogo che
occupa. Cittadino di diritto dello sguardo umano. Coinquilino del mondo. Giocatore dei giochi che
gli accadono intorno.

Cammino dritto per il sentiero tracciato, scansando i rovi, se serve. Asciugo le lacrime, quando capita, e rido di cuore, se posso.

Fermandomi per prender fiato apro lo zaino del ricordo. Rovisto affannato, e controllo minuziosamente, con attenzione.

Terminato il compito difficile, richiudo tutto. Ogni volta più sicuro che la cosa più difficile che ho fatto, non l’ho ancora fatta.

Questo perché stringo ancora un presente bellissimo, e mi preparo con inutile anticipo, a quando dovrò abbandonarlo.

Sono oggi l’esperienza dell’amore corrente, e al contempo anima sofferente di perdite future, incerte, inesistenti.

Sento fortissimo, nel passato che annoda la gola, nel presente prepotentemente buono, e nel futuro di un perduto sconosciuto.

Vivo la vita, nella sua interezza, e un po’ di più.

C’è un Dispiacere sperduto che vaga i vicoli della mia vita. Avrà perso la sua via? O piuttosto, l’avrà trovata nel mio quotidiano ingarbugliato?

Durante il suo cammino scomposto, lo incontro spesso nei momenti indaffarati. Dopotutto, è quando non lo saluto da tempo che si rende insistente.

La sua natura depressa mi cerca come si cerca l’acqua nell’estate più calda. Il tepore del mio viso affannato lo nutre. Mentre la sua convoluta simbiosi mi insegna.

L’incontro con esso mi ricorda che non sono solo, nel labirinto della vita. Che posseggo una bussola di sentimenti dispersi, vagabondi animanti del mio essere.

Sono al sicuro nel caleidoscopio del sentire. Vulnerabile al colpo della delusione, e alla commozione della lacrima.

Ubriaco di reazioni autoctone della mia coscienza, mi sopraffaccio di me stesso, e crollo alla mercé del mio terremoto segreto.

L’esperienza che ho in dono mi indica il piacere del viaggio difficoltoso. L’onda più grande deve ancora arrivare.

Se si vive per un significato, ma questo non è nostro (di Dio, dell’universo). Se ci si sente pedine
di uno scacchi dove non siamo noi a vincere, né forse, a giocare.

La vita sulla terra, di fatto, cambia? Se c’è o non c’è un oltre la morte, uno scopo più grande, un
mosaico sensato.

Forse, dobbiamo solo concentrarci sul rotolare quel masso. La cima, tanto, non ci compete.

Questo abbiamo, e di questo dobbiamo parlare.

All’angolo del ring dell’interiore cosciente
Affronto le sillabe del povero me
Dell’ahimè
E dell’e se…

Ricordo i fili di un tempo lontano
Scandite da frasi severe
Reti innocenti di un eroe scordato

Visito il piccolo me come si visita un monumento ai caduti.
Eroe di guerra sconfitto dalle circostanze
Albatross di Baudelaire
Germoglio di ciò che non fu

Mi sento rottame di un progetto irrealizzato
Venuto su come si poteva
Fuoco acceso sotto la pioggia

Chissà chi saresti senza il tuo intorno, piccolo me.
Sei un guerriero dell’epigenetica, ferito del mondo crudele.

Cammina la tua vita, da veterano che cresce, con la testa alta.

Amo una piccola identità sfavillante
La sua esotica origine lontana
Figlia della storia nei racconti
E della vista immaginaria di chi pensa

Amo la sua vista aguzza
Le sue fisiologie puntuali
La ricetta delle parole che impacchetta
E il calore del loro tocco

Seguo la sua luce nel firmamento notturno
Faro sicuro dello spettro colorato
Fissità immanente dell’amore terrestre
Piccolo fiore nel giardino del bello

Ringrazio i miei occhi che possono vederla
Benedetti da meraviglia in persona
Percepisco lo scoppiettio nervoso della mia mente innamorata
E piango di gioia.

Realizzo che le costellazioni sono disegni dello sforzo romantico
E lei è telescopio per l’occhio del cuore
E, contemporaneamente, le stelle che ammiro
Gravità consigliera che ha scelto il mio fianco.

Amo.

Scarto un pacchetto di sole, trovando una caramella perfetta, dolce mezzo del tuo sorriso morboso. L’incontro con te è sempre una pubblicità di ciò che la vita può essere. Un pozzo ricco e sultano di felicità reale, luce nel cielo lontano, faro di letizia spontanea.

Sono lieto alla mia oscurità, che mi degna di questo contrasto, e mi fa godere del tepore, nostalgico e familiare.

Eccomi a casa, mi sei mancata, e qualcuno ti ha trovata per me.

La giustezza saggia dell’inazione.

Agire per cambiare il mondo è pretendere di saperlo fare, ignoranza della propria condizione. Chi è il giusto?

L’audace, o l’ignavo?

Ho la vista offuscata da un caleidoscopio di cicatrici. Lenti con nome e cognome di individualità perdute. Parvenze bugiarde di completezza, e stabilità della rinuncia.

Amare è difficile, se ci si scorda di amarsi.

Lamenti nel gemito dell’uomo, nessuno ardisce ad astenersi dal coro sofferente. E così come insieme siamo feriti, insieme possiamo guarire. Scoprendo i nostri spigoli, ritrovando i nostri contorni. Tornando a noi.

Siamo salvi, protetti dalla bussola del sentimento. Si salpa, il timone non ci è mai sfuggito.

La meraviglia liminale dell’urbano utilitario.

Oltrepasso le crepe del soffitto, faccio a spintoni con gli spiragli dell’intonaco, sterilizzato con pittura economica.

Metto a fuoco le linee del mio corpo rannicchiato. Percepisco le convulsioni, le mie convulsioni, madide di lacrime, come foglie che si bagnano di rugiada.

Riconosco una coerenza indissolubile tra il mio pianto disperato e lo sgorgare di sale.

[…]

Umano capace. Quindi, umano completo.

Capace di ascoltare il più profondo dei prodotti nell’emporio dell’animo. Capace di provare furia scellerata, amore sincero, compassione profonda, odio amaro, gratitudine gioiosa.

Capace di spaziare la distribuzione del sentire. Capace di agire, di baciare, di possedere, di proteggere. Di maledire, di isolarsi, di aggredire, di uccidere.

Completo perché navigato e navigatore. Esploratore della condizione imposta.

Umano che può, e che decide, consapevole.

Rimani truffato dal vigore romantico. Spento, al termine dell’unione fugace. Da sempre precaria,
da sempre bugiarda.

La forza che scorreva in te si affievolisce. Scopri lo sfinimento della fiacchezza. Una barca
veloce, lasciata senza vento.

Trovi la tua condizione dipendente, ridimensioni la tua natura. Sei oggetto nel cosmo delle cose
terrene, e l’amore, si è dimostrato un carburante inadempiente.

Hai fame, e sei da solo, immobile.

È il sole che si innamora della Luna. Luce ammaliante, certezza splendente. Ma roccia fredda e spoglia, in assenza della stella incantata.

Un’idea, che non esiste da sola.

Eppure, tu esisti. Sei da solo, immobile. E hai fame.

Che importa la prestazione?

Potersi dire primi in classifica, vivere nell’abbraccio di uno scrutinio invisibile.

Vince chi non partecipa. Chi si dedica alle passioni che contano. L’artigianato complesso, la musica, le idee, e quel che gli compete.

Chi coltiva senza curarsi del vicino. Chi raccoglie ed è contento così, del suo sforzo, del suo guadagno, e del tiepido sole lontano che illumina il mondo che gli appartiene.

Guardandomi con onestà, nello specchio del vero, trovo, leggibili, i lineamenti del mio animo.

Sono un aspirante consapevole, socievole, e romantico. In particolare, il romanticismo e l’amore, mi provocano una profonda inquietudine. Una turbolenza dell’anima, scossa dal vuoto del mio cuore incerto.

Sento il sublime dell’ignoto, mentre realizzo la percezione sfigurata che porto con me. L’amore mi pesa fin troppo.

Il peso specifico delle parole zuccherate. Le mie emozioni mal interpretate, e sempre esagerate. La distanza dalla competenza sentimentale, e la paura di rovinare tutto.

Il terrore del vuoto principiante, che si trasforma in sfrontatezza, quando riempito di audacia infondata.

Ho paura di sbagliare, e mi sento Atlante, con addosso il pianeta delle mie mancanze. Residente lontano di un me che non esiste.

Uso la bicicletta perché tu non sai andarci.

Così, dalla lontananza dei giorni trascorsi, cerco di recuperare lo svantaggio. Vinco partite a cui non partecipi, e mi rammarico del mio spirito innamorato. Immobile e perpetuo.

La prima volta eri bella e basta. Adesso sei meravigliosa e smisurata. Stendardo orgoglioso della mia fragilità. Maligno spirito della mia romantica coscienza. Creatura perfetta che esce da sé, per esser contrassegno dell’intimità amara.

Sono terrorizzato da te. Perché sei forte ogni oltre aspettativa. Così, osservo la tempesta dall’insufficiente zattera della mia volontà. Chiudo gli occhi, e aspetto il sospiro del tuo vento arrogante.

Sono affogato molto tempo fa.

Che le parole servano a chi sa valer la pena.

Che la cura del come sovvenga al curioso di comunione e di pluralità. L’urgenza di trasmettere impone prudenza lessicale.

Parlare al prossimo perché può capire. Capire il prossimo nell’ascolto di un’altra realtà.

Richiede premura di parola. Costruisce ponti. E la nostra percezione, diventa riflesso di umanità. Di noi stessi presenti, e dunque, di tutti gli altri.

Che la salienza è attribuita. Calcolo involontario dell’intimità. Rinfianco del nostro giudizio imperativo.

Un tunnel disteso di relatività da-sé, e incertezza di sguardo.

Che nulla possa pesare più o meno di quanto stabilisci. E che il dubbio si spenga, al cospetto soffocante del soggettivo.

L’anima delle cose che amiamo, se inanimate, è data dall’esterno. Come dice Pessoa.

Amo il mio cappello per la pioggia che ha sopportato, per i diversi soli che ha visto, nella continuità dei viaggi che ha condiviso con me. Delle sue fibre sfilacciate, in particolare, del vuoto intermedio dei suoi fili spezzati, più che di quelli ancora intatti.

Così, l’essenza delle cose che garantisce all’oggetto il proprio nome, diventa terreno per la crescita della sua anima, quando messa a contatto con l’esterno.

Così lo è anche per le persone. Con la differenza che l’essenza delle persone non è mai del tutto espressa. Ma un monolite in potenza, che fuoriesce coerentemente con il contesto.

Un legno, con la sua essenza, diventa tavolo. Poi, con l’esterno, diventa il mio tavolo.

Una persona, con la sua essenza, diventa identità. Poi, con l’esterno, la sua essenza si esprime come le radici di un albero, adattandosi alle circostanze, e scambiandoci soluzioni. Muta l’identità, perché cresce. Come l’acqua che si adatta alla bottiglia. Cambia l’essenza, perché sottoposta alle impervie del ‘là fuori’.

La padronanza delle grandi parole dell’Universo risiede nelle anime che scrutano l’interiore con onestà, precisione e attenzione. Più che in quelle navigate e formalmente esperte.

Ho visto il mondo come una lastra grigia. Pietra secolare di promesse infrante. Vita di un tempo che fu possibile.

Spesso mi sono chiesto come si facesse a non sentirsi tristi. Schiacciati dalla solitudine del significato. Intrappolati nell’egoismo psicologico. Succubi della vita non nostra.

Oggi mi ravvedo. Mi approprio di ciò che sento per carpirne le scanalature. Sento la sensibilità che mi porto dentro. Mi capisco!

La forza di un sentore lontano. Interprete dell’emozione ancestrale. Esploratore del sentimento provato e interpretato. Viaggiatore con la bussola. Basta fidarsi delle indicazioni che abbiamo.

Ricordarci che ciò che sembra aver significato, allora lo ha di certo. Che niente più ci è concesso, se non l’amore sincero, sembianze, e colore.

Amo ciò che sento. Perché fa girare un mondo che mi appariva fermo. Sono al centro dell’esperienza sensibile.

Non mi perdo più nell’orizzonte di foschia.

Nel tornado dei sentimenti provati, c’è la direzione nascosta del buon vivere.

Tornado però, è ciò che distrugge. E troppe indicazioni, incastrate, intricate, intrecciate, non guidano e non portano altrove.

Rimangono ferme nel loro epicentro. Strappano la fermezza. Sbrindellano la volontà. Piantano in un punto e rannicchiano.

Finisce la vita, perché ce n’è troppa.

Schiacciato dall’esistenza pura della macchia presente. Mente modificata dal triste passato.

Sono uno spirito benedetto dall’amore del cosmo, e dall’audacia del dado. Mi commuovo al fiore che sboccia e al calore della manina che impugno. Sono aquilone fragile nel vento della realtà.

Si spezza il mio animo veterano in una nuova facilità. Sono sconfitto dal bello che ho trovato. Alla fine, tutto ciò che ho fatto, è metter gli occhiali del vero, e muover la testa.

Nel pozzo giusto del significato, ho incontrato lo sguardo che combacia. L’attitudine virtuosa di servizio. Il coraggio del sopravvissuto. L’amore per la sensazione della Terra. La voglia di scoperta. Le piume libere di ali competenti.

Vedo nitido il perché. Sento bontà nel mio animo. Percepisco la scoria dell’odio e la abbraccio con affetto, capendo anche lei.

Muovo i miei passi per il gusto di muoverli, e finalmente capisco, chi si tiene per mano.